mercoledì 11 maggio 2011

TRA MOGLIE E MARITO. TRA LEMMING ED EDIPO.

LUOGO: Mestre, spettatore-attore sconvolto de L'Edipo dei mille, Teatro del Lemming. Sì, insomma, voglio dire, ...ATTORE! smile Pazzesco! Bendato, poi!

E poi ti sembra di dover cercare per forza analogie quando ti affidi completamente ad un altro essere vivente e ti accorgi che per davvero gli occhi - quando esiste fiducia - sono superflui.
Camminare bendato stringendo una mano così fragile è terapeutico, ad ogni passo la stretta si dissolve per lasciar posto alla voglia di essere guidato, lievemente, verso la Verità. Quella maiuscola, quella che risponde a domande non visibili in superficie: scavare, percepire il fondo nell'oscurità, cancellare ciò che non serve davvero, resettarsi per eliminare i virus inoculati da anni di "DeviFareCosì" "PensalaInQuestoModo" "TrovaUnLavoroSerio" quindi, nuovamente limpido, ritornare a vivere utilizzando la realtà e la sensazione di essa come mezzi di conoscenza.
Affidarsi agli altri: paradossalmente farlo nel momento in cui si è più vulnerabili –ciechi!
Cercare di capire, sussurrando un mantra di "Questo non sono io", volere spingersi più in là, quasi senza paura, perché la sete di conoscenza non appagata è più terrificante dell'ignoto.
L'ignoto è, se lo voglio davvero, nient'altro che una terra erosa, un millimetro dopo l'altro, dall'oceano della conoscenza.
Rimbaud vaneggiava sull'inutilità delle gambe ma forse era solo l'ennesima sfida per l'uomo dalle suole di vento; come Edipo, come la volpe del Piccolo Principe, questi esseri mi hanno insegnato che davvero l'essenziale è invisibile agli occhi, che la spinta per attraversare le Colonne d'Ercole non arriva dai nervi e dai muscoli in movimento quanto piuttosto da un qualcosa di indefinito, di intangibile –per questo reale.
Sono stato tante cose, in una semplice mezzora: ho affidato me stesso a una ragazza che non conoscerò mai, ho lasciato che con le mie scelte influenzassi per davvero chi mi stava intorno, ho percepito che il tepore di un abbraccio è sconvolgente, ho risposto alla Domanda e mi ha sconvolto scoprire che è sempre stato tutto lì, un vulcano pronto a esplodere sotto un lago ghiacciato.
O esplodeva lui o implodevo io, non è in fondo mai esistita una via di mezzo.
Se è vero che noi siamo la somma delle nostre scelte, la nostra essenza è il risultato di ciò che siamo meno le risposte che non abbiamo il coraggio di ricercare.
Esseri completi che inconsapevolmente vivono menomati.
Normalmente mi affascina l'imperfezione, il non essere definitivo: scoprire come stanno le cose, come sono io "sul serio", vedermi senza riconoscermi davanti allo specchio e, una volta cosciente della mia essenza, riderci su, è stato estremamente terapeutico.
Ho percepito di essere tutti i miei sbagli nel momento in cui, davanti allo specchio, ho compreso che essi non sono mai esistiti...
uno sbaglio è nient'altro che una scelta alla quale, a torto, dò accezione negativa.
Davanti a quell'immagine riflessa è un po' come se fossi stato preso per mano da me stesso e insieme avessimo osservato la montagna delle esperienze non vissute in trent'anni e, guidando uno la mano dell'altro - la mia... -, avessimo deciso in quel momento di bruciarle completamente. Non le ho volute vivere prima? Bene, allora non mi erano indispensabili.
Ciò che so è che una montagna di cose non fatte non la lascerò mai più affiorare dal mio oceano.
La cosa più buffa (o sconvolgente, o deprimente, o) è l'aver capito me, aver eliminato le scorie delle insicurezze per poi giungere immediatamente a una scelta dicotomica (e scegliere, dopo una minima esitazione, l'oscurità).
E' stata una decisione indolore però: non c'era dietro né malessere né atteggiamenti da pseudostar. Così sono e così, forse, sarò.
Il punto non è esser luce, penombra od oscurità in un determinato momento della vita.
Il punto è comprendersi e accettarsi.
Il punto è che sento di averlo fatto, ora sta a me non inoculare i germi della cecità verso l'essenza mia, delle cose e delle persone che mi circondano.
Non mi odio più.
In un semplice weekend a Venezia ho ottenuto la grazia da me stesso per la pena che mi ero inflitto da anni ("Tu non ti comprenderai mai"), ho dipinto gondole col monolite come segno di riconoscenza verso una scultrice che mi ha lasciato dormire in un garage, sono stato ospitato da tre rumeni che hanno cucinato i loro piatti tipici per ore solo per vedermi sorridente, ho conosciuto gente utile al mio essere me.
Forse il positivo parte da dentro, forse la risposta era così semplice da risultare incomprensibile.
Sono libero dal fantasma del luca che fu.
Sono pronto a incontrare te.

PER UN ESTRANEO.

Ho comprato un libro per il compleanno di un'amica. Il libro l'ho acquistato domenica alla Fiera di Torino, stasera sarà regalato. Pochi minuti fa, beh, ho ceduto al diavoletto sulla spalla sinistra e l'ho sfogliato "Che sarà mai in fondo sfogliare un libro prima di regalarlo?"
Beh, leggendo una pagina a caso (è un libro di poesie) sono rimasto folgorato... come se, boh..., tra le righe fosse comparso un elfo millenario a dire "Hey Liuk!, se comprendi questa comprendi TUTTO" e poi, aprendochiudendoriaprendo gli occhi, puff!, fosse scomparso. In italiano (l'originale è in tedesco) recita all'incirca così

Capisco, sai, il tuo bestemmiare;
ma il mondo non cambia, niente da fare,
l'odio tuo non lo modifica di un pelo
gli uomini sono una schiatta intollerabile.
Ma tu, dimmi, sei forse meno esecrabile?
Proverei con l'amore a sciogliere il tuo gelo.


Non so, fa quasi male a leggerla, credo che sia il gesto più estremo in assoluto il voler mettere in atto quell'ultima riga: a uno sconosciuto poi!
Io non so cosa provano gli aspiranti rocker quando ascoltano i vecchi brani hard rock - quelli perfetti come Since I've been lovin' you dei Led Zeppelin, Bohemian Rapsody dei Queen, For those about to rock degli AcDc e, fortunatamente, molti altri--, forse in fondo al cuore sono invidiosi perché l'egocentrismo di chi suona li porta a pensare che "Cazzo!, quel pezzo dovevo scriverlo io!".
Però so che leggere più volte questa poesia mi provoca (e provocherà) sicuramente anche una punta di invidia, mi fa sentire arido nei suoi confronti...
Ieri pomeriggio ho avuto una discussione con una persona sfuggente a proposito della non evoluzione umana nel corso del tempo, lì per lì non sapevo come smontare le sue tesi (mi diverte stuzzicarla) e mi aveva quasi convinto del nostro perpetuo ripetersi degli errori, una vita dopo l'altra, e della nostra non ricerca di risposte verso le Domande che ci porterebbero a una sorta di evoluzione (da dove veniamo? chi siamo? perché siamo... e altri punti interrogativi che solitamente vengono fuori dal tepore della signorina charas per poi essere dimenticati al mattino seguente).
Mi è venuto in mente anche questo leggendo quella poesia, non so ancora bene perché ma ho sentito il bisogno di scrivere di getto per non dimenticarmi del momento attuale.
Ora so che almeno qualcuno si è evoluto, innalzato a un livello più alto, in un giorno del 1902 chissà dove, forse in camera sua con la finestra aperta sull'universo che passeggia aspettando l'ora del the.
Quell'uomo è Hermann Hesse.
Io devo, fin da ora, impegnarmi per diventare almeno comparabile a lui nel corso della mia vita - non come scrittore, quella è una guerra persa, ma come essere umano munito di coscienza.