lunedì 25 marzo 2013

#1. SILVERBACK.



--Non saprei. Mi chiamo Esmeralda, ho
--No, il verbo avere non è importante
--Sono nata 34 anni fa in quel di
--Non importa il luogo. Continua
--Di professione sono amministratrice in
--Parli di lavoro? Seriamente?
--...
--Così va meglio. Ottimo inizio
--...

La cosa assurda è l'impressione che lo stomaco sia lì lì per brontolare eppure non riuscirei a ingurgitare neppure un lindor. Non che ce ne siano, in giro.
A dir la verità non c'è null'altro che questo strambo tizio, affascinante perché no. Peccato per le basette malcurate. Che poi, in fondo, voglio dire: finiamo in fretta la trafila doganale che non ne posso più, manca poco e dimentico pure chi sono, altro che rispondere a sto qua. E neanche un orologio!, da quant'è che son rinchiusa in questa stanza?! Forse dovrei chiedere un telefono. Sì.

--Ecco, io avrei bisogno di fare una telef
--Cosa ricordi?
--...appunto
--Si dimentica in fretta sai?
--È un male?

Ride. Io ripenso a mio figlio. Bah. Ha i capelli decisamente lunghi per essere un poliziotto. Strano.

--Cosa ricordi di te?
--Io, ecco, volevo solo capirmi
--Cosa ricordi di te?
--Un richiamo. Ha presente?, di quelli che non se ne può parlare con nessuno e lo senti crescere e fai finta che non esista fino a quando un giorno buuum!, non puoi ignorarlo
--Continua
--Non volevo dimostrare nulla, glielo assicuro
--Davvero?
--Beh, sì. Insomma. Ho 34 anni, me la merito una vacanza
--Il verbo avere, ancora...
--...
--Continua. Quindi non lo hai ignorato
--No. Credo sia normale in fondo, giusto? Voglio dire: commettere azioni che, sì insomma, se le fa un altro dici "questa è pazza". Poi le fai tu e dici "chissenefotte dei commenti"
--E sei partita
--Ma davvero non c'è nulla da mangiare?

Ride. L'elica sul soffitto gira troppo lenta, ho il disagio delle ascelle pezzate.

--Com'è stato l'impatto?
--Con Kampala, intende?
--Sì
--Ho viaggiato di notte, volo insonne. Sa, l'emozione, il non sapere dove dormire, queste cose. E comunque è il mio primo viaggio da sola, questo
--Continua. L'aria, com'era?
--"La città delle possibilità", ho scritto sul moleskine. Se solo mi permettesse di riprendere i bagagli glielo potrei mostrare
--L'aria
--Densa, direi. Un caldo diverso da quello di casa mia. In fondo se la vostra bandiera ha il nero il rosso e il giallo proprio tanto fresco non può fare

Non ride. Continuo.

--Come ho già ripetuto, i miei parenti le possono confermare i dati, a casa ho le mail di ricevuta del viaggio di andata, basterebbe una semplice
--Che cosa stavi cercando?
--...
--Ottimo. Non una risposta immediata

Lo vedo scrivere sul suo taccuino; ha una grafia da medico, cerco di sbirciare meglio ma usa la matita senza perdere di vista i miei movimenti e la lampada puntata verso di me non aiuta. Che poi anche leggessi non capirei nulla, mi sa. Mi manca il fiato, la stanza sembra sempre più piccola.

--Emozioni. Cercavo emozioni
--Di solito rispondono "me stessa" o "radici". Che intendi per emozioni? Non ne avete, in europa?

Tzè, europa. Certo.

--Come le ho già ripetuto, abito a Istanbul
--Che tipo di emozioni?
--Insomma, cosa vuole sapere? Volevo vedere i gorilla, mi pare ovvio! Che ci sarei venuta a fare se no?
--...
--Mi scusi
--Gorilla, quindi. E si può sapere il motivo?

No. Questo non lo saprai.

--Mio padre viaggiò molto, prima di sposarsi. Da bambina mi raccontava storie che
--Dall'aeroporto, dicevo. Come si è spostata?
--Ho aspettato che il primo taxi mi portasse alla strada principale, avevo l'indirizzo per un hotel in centro
--Ricorda qualcosa del tassista?
--Mi dispiace, no. Ho una pessima memoria visiva. Per gli esseri umani, intendo. Ricordo i discorsi però. Ricordo, sì, che quell'uomo si è lanciato a spiegarmi le costellazioni
--Perché mai?
--Non so. Forse mi avrà vista turbata da tutte quelle luci. In fondo dalla terrazza di casa mia non si vede mica la Croce del Sud, il manto stellato è completamente differente
--E cosa gliene pare?
--...
--...
--Incredibile. Mi ha fatto sentire minuscola
--Già. E' messo lì apposta
--Poche luci attorno, poi. Che spettacolo. Tutte quelle stelle così brillanti eppure ero immersa nel buio. Sa, esiste il paradosso di
--Dall'hotel poi si è spostata per il Congo immagino
--Sì
--E?
--E mi sono appoggiata al primo gruppo pronto per la spedizione. Circa un'ora di trekking, diceva il ranger. Victor, il nome lo ricordo.
--Cos'altro ricordi?
--Cosa vuole, le avrà sentite un'infinità di volte certe cose. Il sorriso dei bambini durante il tragitto, per dirne una. In Turchia si dice che per amore della rosa si sopportano le spine. E durante il viaggio, nonostante l'ingorgo, qualcosa è scattato
--Dite sempre così
--Sbagliamo?
--Dite sempre così e una volta andati scordate ogneccosa
--Il viaggio, quello ci si può impegnare a dimenticarlo ma non succederà
--Hai visto solo bambini per strada?
--Ogni tanto chiudevo gli occhi e provavo a immaginare cosa avrei trovato una volta riaperti. È stato un viaggio surreale
--Ovvero?
--Ha presente quando vien da pensare "io qua ci son già stata"? Una sensazione strana, più viaggio più mi accorgo che i posti non sono poi così differenti. Nonostante millenni di scrittura, mancano ancora dei termini per descrivere certi sentimenti, non trova?
--Quanto è durato il trasferimento?
--Non saprei. Ero in dormiveglia e quei brividi di dolce malinconia che appannavano il finestrino mi han confuso un po' le idee. Credo che l'orologio me lo abbiano rubato già durante il volo anche se lo notai solo una volta arrivata alla dogana
--E sei arrivata al confine
--Esatto. Un centinaio di dollari per superarlo, come ben sa. E dopo, che dire ancora, insieme al gruppo ho seguito il sentiero principale del parco
--Il parco Virunga immagino
--Quello, sì. Ero in mezzo a un gruppo di gallesi. Sulla sessantina, gente tranquilla. Ero l'unica senza la reflex al collo, erano tutti allibiti
--Non ti interessano le foto?
--Preferisco vivere

Uno scossone ci distrae. La lampada si sposta proiettando il profilo dell'interlocutore sul muro. Credo di aver perso un battito, ho cercato conforto nello sguardo di quell'uomo ma niente, imperturbabile come se nulla fosse successo. Forse è davvero così.

--Dicevi della gente. In quanti erano?
--Sette. Cinque uomini due donne. Jane e Diana, le donne. Mcqualcosa, non ricordo. Brava gente. Mi dissero di essere sorelle, vedove, che i loro figli erano così deludenti che era loro intenzione spendere fino all'ultima sterlina per non lasciare eredità
--E gli uomini invece?
--Brava gente anche loro. Pensionati, goderecci. Uno poi voleva prestarmi a tutti i costi la sua macchina fotografica di scorta, diceva che era un sacrilegio altrimenti
--Hai rifiutato immagino
--Sì
--Quando li hai visti?
--I gorilla?
--Eh
--Il ranger si è bloccato, più per scena che altro, ha fatto "ssssh" e credo di non aver neppure respirato tanta era l'emozione. Ne ho visti quattro, due piccolini insieme ai genitori
--Continua
--Uno degli uomini ha detto "Silverback!, silverback!", e in effetti a pochi metri è comparso un enorme gorilla con la schiena argentata. Stava lì a ciondolare come un attore indiano
--Lo hai guardato?
--Ci ho provato, se non altro. Ma la mascherina che abbiamo dovuto indossare era troppo stretta, mi lacrimavano gli occhi. Ho provato ad allentarla ma il ranger non ne ha voluto sapere
--E' importante indossarla, infatti. Cos'altro ricordi?
--Le due signore erano emozionatissime alla vista di quel gorilla, giuro. Mi ha fatto stare così bene vedere che ci si può commuovere a tutte le età che ho iniziato a fare dei versi anche io, per ridere. Uno del gruppo ha consigliato di battermi sul petto. Un altro ha detto che ero brava a imitare, che sarei potuta divenire una esemplare di ragazza d'argento. Han riso tutti, non ne sono sicura ma credo anche i gorilla. Poi ne sono comparsi altri

Bussano alla porta. Bussano e l'uomo non si scompone. Mi giro in tempo per vedere la maniglia abbassarsi ma prima che qualcuno entri il poliziotto tossisce e il tempo si ferma. Mi guarda e io sto zitta. Non saprei che dire, in fondo. Solo che mi manca casa, la mia teiera, l'incenso, Rian. Sì, mi manca il sorriso di mio figlio. Il non averlo salutato prima che il destino me lo strappasse via. Cinque anni fa.

--Ne sono comparsi altri, quindi. Da dove. Quanti?
--Da... ovunque. Ricordo il machete di Victor, a ben pensarci aveva un'espressione preoccupata, credo fosse parte del trekking. In effetti è stato un buon pagare, immagino che
--Quanti ne hai visti?
--Di silverback o di gorilla in generale?
--Maschi. Adulti
--Io...

Non ricordo. Vuoto. Eppure. Sono stanca. Che sia...? Febbre? Febbre gialla? Dovrei toccarmi la fronte, così, senza dare nell'occhio. Forza Esme, ancora qualche risposta e tutto sarà finito.

--Io... non lo so

Qualcosa sbatte sulla porta, urlo dallo spavento. L'uomo finalmente si alza, non ne potevo più di sostenere il suo sguardo. Pochi passi e appena non mi vede sbircio i suoi appunti, per scoprire nient'altro che disegni. Fregata. Provo ad alzarmi per protestare ma le gambe cedono e schianto sulla sedia. Dico forte "Mi scusi eh!" e quando si rigira lo sguardo è quello di un ominide, gli occhi accigliati in una smorfia ferina. La porta si spalanca e una luce invade la stanza. Ho sonno, voci indistinte mi ronzano nelle orecchie, suoni gutturali di mondi che furono, quei mondi che mio padre raccontava per farmi addormentare. E' così, dunque. Sorrido. Mi alzo, d'improvviso leggera. 
Rian, amore mio, prepara il thè: sto arrivando.

giovedì 14 marzo 2013

ROAD TO KENYA 2013

VIAGGIO (ANDATA)



Ascolto i Pixies. Ho terminato un libro di Palahniuk da meno di cinque minuti (Survivor, comperato nell'agosto 2003. Era quasi l'ora di leggerlo). Il protagonista dirotta un aereo. Dimenticavo: in questo momento sono sull'aereo. Turco, a esser preciso. Credo sia mezzanotte, lo schermo dice che mancano 3 ore e 47 all'arrivo. Nairobi è l'ennesima meta. Conto di ritrovare un altro pezzetto di me, laggiù dove si dice che l'essere umano sia nato.
Africa, dunque. Io e i leoni, quando appena questa mattina la Zooey se ne stava a dormire sul mio braccio, lei e il suo musetto che quando mi guarda sembra dire "Io mi fido di te ma tu non fare lo stesso errore".
Forse questo viaggio servirà ad affrontare la mia codardia; non ho impedito che lei, la gatta alla quale una sera di settembre ho sussurrato "Avrò cura di te", venisse sterilizzata. Certo sì vivo in appartamento, lei stava male eccetera, il fatto è che avrei dovuto imporre la mia volontà e farla diventare mamma, almeno una volta. Pestifera com'è, avrebbe avuto cuccioli da non potere che amare. E invece. Non me lo perdonerò mai. Così il viaggio serve per ritrovarmi. E nel frattempo scappare. Da lei e da quell'italietta che vota ancora una volta quel tale, da chi non ho, dal mio io che non ha impedito la procreazione a una creatura. Il tizio di nome Silvio, poi. Che cosa particolare. Ha passato così tanti anni a imbambolarci col Si-La-Do delle sue concubine che al momento di votare gli italiani si sono riscoperti Bemolli.
La vita è una serie perpetua di errori e fughe o scuse per perdonarsi e giustificare gli sbagli successivi.
C'è un po' di turbolenza, ora.
L'mp3 passa dai Pixies ai Sigur Ros e mi viene da ridere, penso alla sensazione che ho avuto quando ero sugli iceberg e guardo lo schermo davanti con disegnato l'aereo che attraversa l'Etiopia. E' sempre così: si compiono delle cose mentre si pensa ad altre cose. Un po' come il sesso quando se ne fa troppo o l'altra persona inconsciamente comincia a piacerti meno.
Comunque.
Mi auguro che da qualche parte, tra i fenicotteri rosa e i ghepardi e le giraffe e i cuccioli di elefante, ci sia una pozzanghera lì ad aspettarmi.
Chissà, nel riflesso potrei vedere anche te.


APPUNTI VARI

Appena superato l'equatore le palle hanno iniziato a girarmi in senso antiorario.



Passando col pulmino le persone si mostrano salutando. Parrebbe quasi che il segreto del potere stia nel farsi adorare da chi è più forte e numeroso di te.
Il sorriso dei bambini, così puro e innato da cancellare il degrado attorno. Forse è questo il segreto del sorriso. Forse è questo ciò che mi manca: distinguere nelle persone i sorrisi disinteressati dalle paresi melliflue.
I negozi hanno nomi splendidi, sono sicuro di aver visto pure un NAMELESS SHOP.
I saliscendi infiniti
I babbuni per strada
Le kenyote
Il monte Kenya che sta in mezzo a colline travestite da montagne che chi-sa chiama Rift Valley
Gli altopiani danno l'impressione di essere in movimento, quasi che di notte diventino come la roccia della Storia Infinita, in giro a predicare l'avvento del nulla
Lo gnu fotografato un quarto d'ora dalla nascita e ribattezzato gnu entry
I ponteggi in legno
Gli ingorghi di Nairobi
La pioggia. Vedo la terra incapace a trattenerla, i rigagnoli di minuto in minuto più imponenti, le ruote del pulmino che slittano come guidate da un babbo natale fuori stagione. E il cielo, wow!, le nuvole che a strati lo dipingono di un grigio che è blu che è azzurro sporco che è benedizione che è indifferenza-di-chi-bruca che è nero shakerato con l'amore di chi muove i fili della vita. E rimango a guardare quei goccioloni col solito sorriso interiore da ebete di quando mi accorgo che ancora una infinità di eventi saranno in grado di stupirmi, bloccando e allungandomi la crescita. Quell'acqua sporca mi ha purificato molto più delle bottigliette sigillate che bevo durante le pause al lavoro.


SHAPESHIFTER


 
Nottata insonne pensando alle parole giuste da dirle l'indomani prima che sia troppo tardi, alla situazione perfetta o malinconica o indimenticabile o.
Avrebbe detto sì, se solo fossi stato un altro me.
E così mi sono semiaddormentato; con la consapevolezza che le mie contraddizioni ancora una volta avrebbero avuto la meglio. In effetti è successo questo, coi miei dettagli che già vedevo scolorire nei suoi occhi, con le parole non dette e bloccate in gola a solleticare l'incapacità di farmi amare. Il diavoletto sulla spalla sorride pronto a darmi il cinque, l'angioletto scuote la testa più incazzato che deluso e questa volta concordo con lui: che senso ha viaggiare se poi non riesco a condividere le emozioni(?).
Eppure.
Eppure non posso permettermi di perdere la speranza.
Analizzare l'Africa, scindere le sensazioni che mi sta lasciando; vorrei, devo, abbandonare questa carcassa da sconclusionato. Meritare un sorriso. Avrei dovuto saperlo che non era lei invece di aggrapparmi a quegli sguardi che di sicuro significavano altro e non ciò che mi servirebbe. Riderò di tutto questo, un giorno. Continuo a muovermi e la distanza non cambia.
L'Africa me lo sta sussurrando da un po', credo di iniziare a capire le parole di Pessoa che leggevo sottobanco da adolescente.
"Abdica,
e sii re di te stesso".
Il resto è fuffa. Devo terminare il periodo delle stilettate al cuore, sono al limite dell'anemia. E le parole d'amore scritte sul vetro tendono a scomparire, poco importa alimentare o meno la condensa.
Africa, lo sbruffone europeo che è partito spavaldo ora ti chiede aiuto.
Lascia che ti ricordi, lascia che mi dimentichi.


VIAGGIO (RITORNO)

Guardare gli animali della savana negli occhi è una scossa che smagnetizza le certezze.
So che in quel frangente loro non hanno le mie percezioni eppure lo stesso immagino che abbiano cercato di dirmi qualcosa, un monito per il futuro che riuscirò a decodificare presto.


 
Il musetto del ghepardo coi piccoli affianco e tutti e quattro a fissarmi: io lì, un imbecille con la macchina fotografica che quando affronta quegli occhi fa di tutto per restare in silenzio e non tremare, che nel pulmino degli avvistamenti non ero da solo e un uomo con le lacrime credo sia difficile da giustificare anche in un altro continente.
Mi è parso per un attimo, un attimo solo!, che col pensiero il felino mi stesse dicendo di guardare bene, osservare mentre si prende cura dei suoi cuccioli. Che il segreto è tutto lì.
Il tempo, una volta che tornerò in Europa, riprenderà a scorrere. E forse all'opposto io mi bloccherò. Merda. Maledizione al mal d'Africa. Sarebbe così bello spostare lo sguardo dal finestrino dell'aereo e invece che i due sedili vuoti potere vedere marmocchi, i miei!, tre?, quattro?, e la lei-che-verrà a stringermi la mano. Fieri, soddisfatti e fuori dal tempo come quegli elefanti che ho visto accudire i loro piccoli con un tipo di amore che non credevo possibile.



E allora sì!, in quel caso non dovrei temere o giustificare le lacrime.
Forza Liuk, forse così sarà.
Arrivederci, Africa.
E grazie.