Oggi è il sedici marzo, e i numeri su
carta mi inquietano: son passati settantacinque giorni dall'inizio
dell'anno e ho già raggiunto la terza infatuazione. Di fatto mi
innamoro ogni venticinque giorni, che confusione. Detesto la
matematica, anche se la risoluzione di qualche incognita non mi
dispiacerebbe affatto.
Sono al parco vicino casa, è fine
inverno e il primo caldo mi ricorda che per qualche mese non avrò
bisogno durante la notte di Zooey in versione borsa dell'acqua calda.
Vedo i primi fiorellini e l'idea di non
conoscere tutti i nomi delle piante mi infastidisce; certo, questa
cosa fa molto Into the wild, ma il comandamento che mi sono imposto
tempo addietro "Lo scrittore deve sapere l'argomento trattato"
presuppone espandere la conoscenza a 360 e qualche grado – cioè
girarmi e alla fine vedere da un'angolatura lievemente differente –
anche se ciò al momento mi procura più malintesi che altro. Per
dire: pochi giorni fa durante un discorso sciocco con la Marty siamo
entrati nell'argomento milf, alché m'è scappato che esistono pure
le gilf. Da lì a giustificare che il saperlo non significa
ususfruirne, è stata dura. La realtà è che una protagonista che ho
in testa per il prossimo romanzo potrebbe essere un po' allegra, ma
rendendomi conto di quanto suonasse come scusa son restato a metà
tra il silenzio e il sorriso ebete, che in fondo è il leitmotiv di
quando trascorro la pausa pranzo con lei. Figurone!
Vabbè, dopotutto "Essere
compreso significa prostituirsi", diceva Pessoa.
Che poi, voglio dire: scrivere un
romanzo è solo l'inizio, una sorta di Stargate verso un universo che
lo scrittore affronta insieme ai lettori. Certo; ma qual è lo scopo?
Ogni volta che mi siedo su una panchina
a guardare la natura mi assalgono i "perché": dapprima con
cortesia, poi – accade spesso quando osservo il cigno del laghetto
seguito a distanza dalle anatre – i perché si trascinano
enfatizzando la erre con l'arroganza di un formigoni di turno, e lì
tendo a cambiare panchina senza rispondermi.
«Perché scrivi se poi nemmanco i tuoi
amici ti sostengono?»
«Perché ti poni domande, quando a
conti fatti è più facile scoprire un pianeta popolato da
tirannosauri con le braccia di giannimorandi piuttosto che un
conoscente legga il tuo romanzo?» (<---Ehi, aspetta un attimo,
signor invisibile generatore di perché: il romanzo non è mio,
e che cazzo, una volta messo in commercio di fatto l'ho donato
all'umanità. Mio mi innervosisce, right? E non chiedermi il
perché.)
A volte, lo ammetto, ho attimi di
sconforto: uno immagina sempre che il proprio operato venga
quantomeno preso in considerazione dagli altri, scordando non solo
che la realtà è differente, ma anche che comportarsi in modo
menefreghista è del tutto naturale. Anni fa ho letto che esiste
persino un termine tedesco – Schadenfreude – per definire lo
stato di gioia nel vedere un personaggio cadere in disgrazia. Bah. Mi
domando se non dovrei chiudere i rubinetti all'empatia prima che
questa paradossalmente col suo calcare mi incrosti il flusso di
emozioni.
Fregatene, Liuk. Pensa a cosa disse
Agota Kristof:
"Prima di tutto, naturalmente,
bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche
quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione
che non interesserà mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si
accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a
scriverne altri."
In realtà è tutto più semplice e
meno cervellotico: il senso di appagamento che si riceve una volta
completato un obiettivo (che sia un romanzo, una torta mimosa, un
figlio, un viaggio, un matrimonio, la Champions col Torino a pro
evolution) viene prima o dopo sostituito da un ancor più grande
senso di vuoto, che in alcuni casi fa scordare del tutto
l'appagamento precedente. Merda. Cosa mi è rimasto, a conti fatti,
di due anni trascorsi in esperienze e ricerche per la stesura di Per
Adesso No?
Un file in formato epub.
E la cosa buffa è che due anni fa
nemmanco sapevo cosa fosse un file epub, se me lo avesso domandato
avrei detto «Epub? È l'anagramma di Pube.»
Un po' come quando guardavo le ultime
puntate di Breakin Bad ed ero pervaso da una eccitazione malinconica;
imparavo alcune battute a memoria, analizzavo i filmati godendo delle
inquadrature manco fossi l'aiuto regista, esclamavo «Ma dai!»
«Nooo» «Figaaata» durante alcuni passaggi risolutivi e nello
stesso istante l'idea di una serie TV oggettivamente inarrivabile mi
inquietava. "Non vedrai più nulla del genere" mi diceva la
vocina rompipalle.
E già il vuoto di quella mancanza
insostituibile mi rovinava le immagini di Walter White e la sua
discesa. E adesso? "A che cosa si riduce tutto questo?",
cantano i Negrita
Mesi fa ho concluso i corsi alla Scuola
Holden ma solo da quando ho strappato quel cordone ombelicale si è
manifestata la consapevolezza di quante informazioni mi han
tramandato, di quanto quell'atmosfera fosse a me necessaria per
quella sorta di utopia che è il Vivere Bene.
Amicizie confronti punti di vista
differenti, tutte cose che ora non ritrovo. O forse ritrovo in
maniera differente senza rendermene conto.
Dev'essere la Sindrome di fabiofazio,
dove ciò che era è sempre migliore di ciò che è.
Mi piacerebbe tornarci e vedere quanto
sono cambiato, sì. Lo farò.
Il fatto è che a ogni risveglio ho
come l'impressione che qualcosa mi stia sfuggendo. Oltre a sei ore di
sonno, intendo. Gli obiettivi prefissi a inizio anno per fortuna al
solito non li sto raggiungendo, anche se la bocca impastata e le ossa
scricchiolanti ogni mattina mi ricordano che sarebbe bene iscriversi
in palestra ed eliminare il tabacco.
Per stare meglio ho pure tentato con
l'ammodernare la camera da letto (nuova tinta viola e un quadro di
Munch, La danza della vita, che tanto mi garba) eppure a sfuggire è
sempre quel nonsoché, come se ogni persona luogo cosa che incontro
sia destinata col tempo a non lasciare traccia. Destinati a
dimenticarci.
Quando sono più fuso del solito ho
l'abitudine a lasciarmi trasportare dai ricordi in modalità random:
una serie di immagini collage senza filo logico, tipo: l'odore di un
parco ligure seguito dal panorama mattutino color aragosta di Kayenta
e di quando alle elementari, travestito da Sioux, dimenticai il
monologo durante la recita, e ancora: la volta che con Francesca
rovinai una torta, quando sotto una foglia trovai diecimila lire, il
record a street fighter 2, la sera d'estate a vedere Matrix in un
cinema all'aperto sopra il cassone di un'ape, Stefania che mi parla
di iridologia mostrando libri dai titoli interessanti. Immagini così,
sconclusionate.
Eppure.
A volte mi chiedo se siano successe
davvero, se ripensandole il cervello me le proponga in modo artefatto
per ragioni che non comprendo.
Dovessi disegnarti, non ci riuscirei.
Finirei col costruire l'idea che ho di
te, non te.
Diventeresti un ibrido, che poi forse è
ciò che siamo agli occhi degli altri. Ibridi di noi stessi.
«Quello non sono io...» dico ogni
volta che guardo vecchie foto «...sorrido.»
Prima di condividere casa con una gatta
non è che avessi granché da sorridere, in effetti. :-)
Comunque sia, il parco dà troppi
pensieri, no doubt.
Guardo il cigno e penso che è l'ora di
organizzare un viaggio, ricaricare le pile. In fondo l'anno scorso in
questo periodo avevo gli occhi pieni di ghepardi ed elefanti, ora mi
restano tutt'al più i topi che si nascondono sotto le foglie per
salirmi sul braccio mentre sistemo il telo durante la pausa pranzo al
bacino di Villar. Caspita.
Credi di sfuggire e vai a sbattere
in te stesso, diceva Joyce.
Certo, i soliti Perché mi dicono che
vedere luoghi nuovi serve a ben poco se poi al ritorno il vuoto si fa
ogni volta più ampio, ma me ne frego.
In fondo è quasi primavera e fa bene
pensare che in Japan a breve fioriranno i ciliegi.
Sì ok non siamo lì, però sempre e
comunque ci sarà in qualche angolo un qualcosa in grado di
emozionarci l'anima. Se per esempio ora si materializzasse Joda o
Miyagi potrebbe sussurrare «Sii il ciliegio di te stesso, Liuk»,
perché no? Non sarebbe un'idea malvagia.
Divenire un ciliegio. E non dare
importanza ai soliti che sprecheranno tempo a denigrare i tuoi
petali, a dire che il loro tronco ha più anelli, che i loro rami
sono più grossi o a pisciare sulla nostra corteccia: se quel
ciliegio che sarai farà sorridere te e chi ti è caro, il resto non
conta. E se non sorrideranno, tu comunque ci avrai provato e
continuerai ad amarli (il Dare/Avere non lo reputavo importante
quando studiavo economia, figurarsi in amore!)
Tra l'altro la scorsa settimana ho
partecipato a un Funeral Party (che sarebbero feste splendide
organizzate da Giorgia – conosciuta alla Holden, te pareva – con
tema il rispolvero, attraverso film concerti esibizioni alcool, di un
personaggio che per forza di cose non risulta vivente. Il penultimo
Funeral Partuy era per e su Salinger, l'ultimo su John Belushi. Per
dire).
È proprio la Giorgia una di quelle
persone che danno un senso a tutte ste parole sparse per il post, a
proposito di vuoti ricerche matematica romanzi breakin bad
varie&eventuali; lei è una persona che conosco poco ma emana
quell'aura positiva che ti vien voglia di svegliarti dal torpore,
scuoterti e pensare "Toh!, guarda, e tutta sta polvere che avevo
addosso da dove arriva?" Quando la vedevo a scuola – di solito
lei era dietro la scrivania a dire "Ben arrivato" e io in
ritardo firmavo il foglio di presenza tutto già
agitatofintomenefreghista – ogni volta mi fermavo a pensare
"Wow, ma guarda un po' questa, un sorriso così splendente e
manco è photoshoppata."
È gratificante sapere che non solo
esistono persone simili ma che pure si possono conoscere
d'improvviso, magari tu sei di corsa al bar e ta-daan!, un sorriso ti
ripara la giornata.
E allora: Smile :-) Smile :-) Smile :-)
a tutti voi bella gggente!, oramai il sole è lì lì per tramontare
e l'aria del parco si raffredda, meglio ritornare a casa.
...e comprate/leggete il romanzo, mi
raccomando!, a tempo perso sto creando una pagina su feisbuk come farebbero i gggiuovini :-)
STAY TUNED
"Guess I got what I deserve
Kept you waiting there, too long my love
All that time, without a word
Didn't know you'd think, that I'd forget, or I'd regret
Kept you waiting there, too long my love
All that time, without a word
Didn't know you'd think, that I'd forget, or I'd regret
The special love I have for you
My baby blue"
My baby blue"