Quindi,
da buon uroboro (o forse oroboro? Comunque, quella cosa lì), i cumulonembi
estivi mi hanno rovesciato addosso gocce di pioggia e mestolate di apatia,
tanto da scivolare al punto zero. Ma quel punto zero che è dentro di noi, un
po’ differente dalla matematica. È più la concezione di aver fatto
involontariamente un passo indietro pur mantenendo lo sguardo in avanti, credo
che su questo modo di vivere molti coreografi abbiano ideato decine di balli
estivi (un passo in avanti, un passo in avanti, un passo indietro, un passo
in avanti e hop!, unduettrèquattro e giro…)
Quindi
(e due) dopo un paio di settimane e chiedermi come poter scrollare il tutto,
arriva un messaggio dalla Giorgia su una giornata aggratis all’I-Scream
sponsorizzata dalla Holden, una di quelle folgorazioni che ti fan dimenticare i
“perché” e li sostituiscono coi “perché no?”
A
lezione, dunque. E son stato pure fortunato, che a spiegare c’era la Lucia,
davvero grandiosa! Voglio dire: rendere interessante già dal principio l’Ode al
pomodoro non rientra tra le cose più semplici, perlomeno per me. È stata una
lezione clandestina, di occhiate invisibili e gesti che si sono appiccicati a
mò di post-it senza chiedere permesso –come la maggior parte delle cose belle e
significative, in fondo.
C’erano
foglie accartocciate, brividi a tradimento e tanti tanti elenchi sinceri, un
riordino mentale sulle cose che ognuno di noi ha, o quantomeno crede di avere,
da dire.
Poi,
il caso.
Libromania
- sì sì, la casa editrice dell’ebook, casomai qualcuno ancora non lo sapesse...
- ha parlato di un concorso su Rai Radio1 di nome Plot Machine, dicendo che per
partecipare bastava inoltrare un racconto breve con a tema i social network o
la radio.
Senza
pensarci – e d’altronde col mio telefonino che continua a non chiamarsi
smartphone la scelta è stata ovvia – ho provato a sfruttare l’onda lunga made
in Holden ampliando un punto dell’elenco di Lucia. Così, anche se per via di
una foglia fuori stagione ho continuato a pensare a tutt’altro, è uscito dal
punto 15 quello che ora i più chiamano “Il racconto di Riccardino.” Tra l’altro
nelle votazioni libromania mi ha sostenuto, son dettagli che fanno molto
piacere visto che nel loro progetto ci credo.
E
niente, per ridere ho pensato di chiudere il cerchio (sempre da buon u/oroboro)
e rendere il racconto in stile Salinger, senza pretese.
Invece:
mi hanno telefonato dalla radio, alle 5 di pomeriggio, con chiamata anonima –e
ho pure risposto! L'hanno letto in diretta, con una voce di quelle che rimangono, è stata una soddisfazione, davvero. Alla
fine per motivi sconosciuti son arrivato secondo nazionale e non so come
prendere il risultato, ma un po’ tutti dicono “è un ottimo piazzamento” quindi
(e tre) credo sia andata bene.
"Meglio
che primo”: di solito rispondo così.
Il
programma è stato divertente, in più l'assemblamento in una storia di vari
tweet in tempo reale è stata affidata a Chiara Marchelli, e se qualcuno ha
tempo di leggere la sua biografia, parla per lei.
Mi
sembra sempre una ladrata vedere il nome in una classifica, non so come
spiegare. Sono abituato alle stroncature sul romanzo, non ai complimenti. E iniziavo
ad abituarmici, ecco; ci saranno sempre le critiche, per fortuna.
Scrivere
vuol anche dire sputare i propri sentimenti su un foglio, e quanto orribile
sarebbe scoprirli condivisi da tutti? L’opinione contraria è un sintomo che non
si sta scrivendo qualcosa di ovvio, se non altro. Poi
sta allo scrittore distinguere le critiche al testo da quelle alla persona, ma
questa è un’altra storia.
Di
solito quando ho un libro sottomano e mi chiedono il nome dell’autore, le
risposte sono
A)
ah sì lui mi piace, ho letto qualcosa
B)
ma chi? Quello? Che schifo! Pensa che una volta ha scritto “blablabla” e
diceva che “blablabla”, per non parlare di quella volta in tv quando ha
detto che “blablabla…”
Sì,
passa il tempo ma “Chi disprezza compra” resta sul podio degli intramontabili.
Sono a metà dell’opera, mi affido alle strategie di libromania per il
“compra”.
(Nel
dubbio, il link Per Adesso No. è lì ad aspettarti) :-)
Fa
strano abbandonare un romanzo quando ancora non lo si vede camminare da solo,
ma la Musa è stronza e come questo tempaccio estivo se ne frega dei programmi
altrui.
Cooomunque,
il racconto era appunto scritto pensando ad altro, non capisco come possano
averlo scelto. Ma liuk!, non farti fisime e raccogli, invece di sparare frasi
da fighetto stile “Io non miro al numero uno. Il mio obiettivo è battere il
numero uno”
Buon
periodo, dunque. E cosa fa l’idiota quando le cose iniziano a migliorare?
Ho
dato un colpo alla Bussola delle Buone Intenzioni fino a quando l’ago si è
spostato da “Scrittura” a “Musica”.
Non
so, ho l’idea che sia il momento di stoppare il nuovo romanzo; visto che stavo
trattando di autunno, lacrime e foglie che ingialliscono, gli ultimi
avvenimenti casuali mi hanno un attimo distolto l’attenzione, mettiamola così.
Le coincidenze esistono in ferrovia, per quanto ne so.
Lascio
quel centinaio di pagine a svolazzarmi in testa ricomponendosi come
preferiscono, che tanto quando dico “smetto di scrivere” ho la credibilità dei
tossici sotto casa.
E
poi il primo romanzo è stata una necessità, col secondo vorrei ragionarci su.
Un finto stop, ecco. Solo per il gusto di non creare aspettative a me
stesso.
Ho
tolto i chiodi alla Musa e ora aspetto che smetta di svolazzarmi intorno per
ripicca, devo avere pazienza e riannodare con cura il retino.
È
che negli ultimi tempi i sogni di quando mi inciampavo tra i cavi degli
amplificatori sul palco si stanno rifacendo vivi. Entrano e non chiedono ‘per
favore’, o se c’è qualche altro sogno in composizione.
Trovo
che suonare sia più solitario rispetto alla scrittura, anche perché la chitarra
la suono in casa mentre il moleskine lo imbratto al bar.
Un
altro passo indietro con sguardo in avanti, a pensarci ora.
La
cosa buffa è che in questi dieci anni è cambiato un po’ tutto, per quanto mi
riguarda: ricordo di non aver mai partecipato, per pigrizia, a un soundcheck. O
il solito “sì sì” quando il fonico di turno mi chiedeva se i suoni erano
bilanciati. Volevo solo salire sul palco, rivestirmi di una nuova personalità e
tanti saluti. Adesso che ho in testa un progetto invece dovrò giostrarmi da
solo e non ho idea di come muovermi.
Un
altro mondo, sì.
M’è
capitato di vedere Neil Young in concerto, un paio di settimane fa. Credo lui
abbia la risposta.
Una
di sicuro la possiede: leggendo la sua autobiografia, ho sottolineato la frase
“Se una cosa non è fantastica, lascia perdere”.
È
difficile ma vorrei tramutarla in realtà.
Vederlo
suonare col sorriso, a sessantanove anni, di per sé è già una di quelle
risposte a prescindere. Lo si poteva fotografare in primo piano e spedire il
tutto alla Perugina, con scritto “Un’espressione vale più di mille parole”
Che
suonare e scrivere testi di per sé è una stupidaggine. Cioè, se una cosa la sa
fare pure l’Apicella di turno, non vedo chissà quali problemi insormontabili.
È
che vorrei… insomma, qualcuno ha mai letto Oceano Mare?
Ricordate
il pittore, Plasson, che dipingeva il mare con il mare?
Ecco,
vorrei un qualcosa del genere. A livello di testo, o a livello di ascolto per
chi non fa caso alle parole. Credo sia complicato, o forse lo sarà fin quando
crederò che lo sia davvero.
Creare
canzoni che abbiano una storia, che siano esse stesse un racconto breve,
accompagnate da suoni adatti a rimandare l’ascoltatore nell’immaginario della
vicenda. Come per la parte psichedelica di Whole lotta love, dove chiudi gli
occhi e sei trasportato in un tunnel stile pallina da flipper.
E
nello stesso tempo non ho intenzione di creare cose inascoltabili o brani
monostrofa alla Dylan/De Andrè (e chi ci riuscirebbe più, tra l’altro…).
Non
so, forse stare sul filo tra il cantautore con aspirazioni punk (ma che ascolta
in privato i primi dischi di Ruggeri) e i Baustelle senza barba in prima fila
al concerto dei Sigur Ros. Creare, per quanto possibile, un nuovo tipo di
sonorità. O un altro punto di vista della musica, che a conti fatti è un po’
quello che provo a fare con le parole.
Dipingere
il mare con il mare, e con un buon amplificatore resistente all’acqua.
In
fondo dicono che per scrivere un romanzo ci si concentra, da buon pugile che fa
a botte con le parole, alla resistenza sui dodici round. Dicono anche che il
racconto breve dovrebbe stendere il lettore per KO.
Ecco,
scrivendo canzoni/storie vorrei puntare a trasformarle in sali per rinvenire.
Anche
se l’essermi comprato un programma (Ableton) per registrare tutto da solo manda
in panico, mi ci abituerò. Al panico, intendo. Per qualsiasi cosa siamo
accerchiati da eserciti di bipedi che ne sanno più, tanto vale approfittarne.
Idee
nuove, quindi (e quattro).
Al
solito, ho ripensato alla lezione Holden e agli elenchi, dicendomi “E perché
non sfruttarlo? È lì.”
Così
ne ho preso uno a caso e senza accorgermene la Musa ha lasciato qualche scaglia
sul retino, come incoraggiamento (stile il 6- a scuola dopo una sfilza di
insufficienze). Ed è uscito un testo, una canzone già pronta per trequarti, dal
titolo #ilmare.
Tanto
per tornare a Plasson e il suo dipinto.
È
la storia di Jenny, una ragazza che passa la vita a osservare gli altri,
dissolvendosi nel riparo di una finestra. E si crea una campana di vetro anche
quando esce, quando vede il mare, fino al punto di non rendersi conto che la
casa in cui abita è crollata.
La
parte che mi interessa di più è strumentale e inizia quando la protagonista
preferisce aggrapparsi alla boa invece di immergersi a guardare le meraviglie
sott’acqua.
Pensavo
al la minore ripetuto in loop per rimandare l’ascoltatore alle onde e a un
assolo lungo e semi ipnotico che profumi di sabbia bollente, alghe, della finta
libertà offerta su cauzione dal pedalò. Cose così. Ci provo, almeno.
Come
al solito, è tutta questione di praticità, come per l’amour.
Per
dire: avete presente le farfalle nello stomaco?
È
dalla lezione degli elenchi che ci penso (sempre per via della foglia eccetera
eccetera)
Credo
sia una questione di cura, alla base del successo. Ok, detto così fa molto
Piccolo Principe con la Rosa, ma all’incirca il significato è quello.
All’inizio
le farfalle iniziano a svolazzarti nello stomaco solleticandolo. La sensazione
è piacevole, i colori più vividi, le emozioni acquistano nuove forme, pure la
sveglia mattutina ha un ché di armonico. E poi, che accade se lasciamo le
farfalle al loro destino, senza neppure un trespolo per riposare? Perdono
l’equilibrio, poverette. Il solletico si trasforma in eritema, senza una cura
più o meno costante.
Le
farfalle precipitano ineluttabilmente, bam bam bam dritte nell’inferno
dei succhi gastrici.
E
se non si curano i sentimenti, le uniche testimonianze degli attimi di felicità
saranno sempre e comunque gli attacchi di acidità allo stomaco.
Quindi
(e cinque) tempo al tempo, trespolo innaffiatoio moleskine e pazienza sotto
braccio, vediamo l’evolversi.
E
tanti belli elenchi da trasformare in qualcosa di concreto, che di cose da
raccontare ne abbiamo tutti più o meno consapevolmente.
C’è
così tanto, là fuori, pronto a essere colto.
Dovrei
parlarne pure io, prima o poi.
"Di
lei che rigira una foglia secca fissando un foglio bianco.
Del
riflesso di una lacrima quando te l’ho raccolta sul dorso della mano.
Del
cortometraggio di Bruce Springsteen che ho visto solo per metà al TG.
Del
tizio che nasconde soldi nelle spiagge californiane.
Del
tavolo che traballa quando scrivo.
Della
vita che traballa quando non scrivo.
Del
non distinguere l’indaco guardando l’arcobaleno.
Di
Zooey che mi porta un piccione sul letto una volta a settimana.
Di
quando guardo gli altri scrivere e mi viene voglia di scappare.
Del
parco giochi sotto casa pieno d’erbacce, di come i bambini le strappano per
tirarsele addosso.
Delle
musichette in sala d’attesa dal dentista.
Della
Croce del Sud, di quanto sia alienante notare costellazioni non tue quando
oltrepassi l’equatore.
Del
divenire invisibile quando sporgi lo scontrino del caffè alle commesse
dell’Autogrill.
Di
quanto sia bello il termine Mellifluo prima di leggerne il significato.
Di
Riccardo che lavora con me e ogni tanto sorride da solo e quando chiedo “Che
c’è” non sa rispondere.
Di
quanto sia tempo perso amare una persona quando ti corrisponde.
Dei
finali incomprensibili di certi romanzi.
Delle
antenne delle lumache.
Del
malditesta che mi prende se so di dover guidare tanto.
Delle
voci degli altri quando cammino con l’iPod spento.
Dell’accordatura
di Neil Young usata in Cortez the killer.
Della
tonalità pastello nei vestiti dei gerarchi nazisti.
Del
finale alternativo di Breakin’ bad.
Del
rifugio che credevo segreto quando scappavo dall’oratorio e di come mi sento
scemo ogni volta che sento le voci di altri bambini provenire da lì.
Della
stupidità del “Ora che sei maggiorenne…”
Dei
riflessi del marmo rosa nel Campanile di Giotto.
Della ring road
islandese.
Della
ragazza che annega nei pensieri degli altri.
Del
ragazzo che dice di non avere un senso mentre guarda un documentario
sull’ornitorinco.
Di
quando ti dicono “La vita è una ruota che gira” e sentendoti quella di scorta
domandi al nulla dove hai dimenticato le chiavi del bagagliaio.
Del
dare per scontato che gli altri siano migliori, senza mai però voler scambiare
un tuo giorno con uno loro. Mai.
Del
pugile che a metà combattimento si rende conto di non reggere altri round e la
consapevolezza lo libera dal dolore.
Di
quanto sia stupido stilare elenchi, se mentre li scrivo tu non sei accanto a
me."
[…]
Ecco,
questo è quanto. E giusto per smentirmi, ho come l’impressione che domani
poserò la chitarra per riprendere il romanzo nuovo. Di posare il romanzo nuovo
per farmi furbo, beh, non è ancora il momento, ecco.
I
capelli bianchi iniziano dal cuore, ma perlomeno finché non li scoprirò in
testa potrò fingere che le forze per realizzare i sogni siano più che
sufficienti.
“Le
cose belle sono proprio dietro l’angolo!”, sentenzia sardonico l’u/oroboro.
ENJOY