lunedì 13 ottobre 2014

KATHMANDU PENSACI TU parte 2 di 2

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Fine giornata, una di quelle che forse è la pioggia, forse il mio continuo restare invisibile schivando testardo le secchiate di colori che mi gettano alcune persone, forse è il ripetersi di monasteri senza ancora aver formulato in testa La domanda, insomma: mi sento a mio agio in Nepal. Ma sono fuoriluogo anche qua.

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Arrivato di fronte a una fontana, mi donano una moneta.
"Lanciala nel secchio in mezzo. Se lo centri, il tuo desiderio si esaudirà."
Ho visto un bel po' di gente lanciare senza successo, so di avere una discreta mira eppure quando la ragazza accanto a me si è rabbuiata per aver sprecato il lancio le ho donato la moneta d'istinto.
"Tieni. Ti cedo il mio desiderio", le ho detto.
Che frase da sciocco!
Tra l'altro, cosa potrei desiderare se manco so chi sono? Ad agosto l'ho vista la stella cadente dal balcone di casa e anche allora non ho pensato a nulla.
Mi suona strano desiderare qualcosa in una terra che il destino ha voluto visitassi forse proprio per staccarmi dal desiderio.
Cosa dovrei dire, cosa si aspetta la gente che dicessi?
"Ti prego (chi, poi, con esattezza?!?) fai in modo che venda milioni di copie col romanzo?"
Che tristezza, non è un desiderio, è una imposizione verso gli altri.
Molti desiderano la felicità per i propri famigliari, ma pure in questo caso mi sembra una forzatura, un concetto troppo soggettivo.
Nepal, ho capito che mi stai risintonizzando le frequenze; io non pretendo grandi cose, giusto un segnale che possa perlomeno intuire. Era la ragazza scomparsa nel fumo, il segno? Che stupido.
Liuk, divertiti. Mi han detto che la felicità sarà una naturale conseguenza, che imparando a sorridere uno poi non è più sconvolto dai sorrisi di risposta.

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"Non essere troppo cerebrale. Non interpretare ciò che leggi per filo e per segno. Dimentica la storia dei desideri, pensa piuttosto a ciò che vorresti essere. Il medico che vorrebbe essere giardiniere non è un medico felice."
Sono ancora indeciso se giudicare i nepalesi troppo saggi o fancazzisti: tergiverso. Magari è la stessa cosa.




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Oggi sono stato in un tempio tibetano femminile di Vattelapesca, non ricordo il nome del paese.
Ho avvertito un'energia differente, gli occhi che pulsavano. Non è suggestione. Oramai sono in questa terra da qualche giorno e inizio a capire quali leve devo spingere. Davanti a una statua coi denti aguzzi ho domandato non più chi sono ma chi potrei diventare.
Il tutto come sempre a occhi chiusi – voglio dire: nei templi c'è silenzio e si cammina scalzi, dopo un po' si impara anche a vedere senza guardare.
La statua mi ha risposto.
Ok, sto imparando pure che la risposta è dentro di me e quindi ciò che ho sentito in reatà sono le mie parole con la sua voce e blablabla, non importa. Ho visto tutto in modo chiaro. Sono sereno.
All'uscita ho imbrattato un poco il moleskine guardando i bambini monaci giocare a palla schiava.
Non so ancora chi sono ma ora so chi potrei diventare.



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È l'ultima notte di settembre e oggi ho visto come si forma un lago di sangue: se avessi avuto una telecamera avrei potuto formare un time lapse un pochino splatter ma dubito che i più apprezzerebbero il risultato. In effetti lo straaap di una gola è impressionante, anche dopo averne sentiti decine.
Dicevo: è l'ultima notte di settembre, sono a Bakthapur, un paese splendido.
Mi hanno avvertito di dormire coi tappi, che dalle 4 i monaci e i fedeli inizieranno le preghiere nel tempio dedicato a Shiva, casualmente proprio accanto all'ostello.
Potrei fingermi lui e per placare la mia ira richiedere 108 caprette da sacrificare ma insomma, di sangue e sgozzamenti vari ne ho visti fin troppi oggi, può bastare. Mi hanno spiegato che sacrificare animali per quest'occasione non è solo un onore ma anche il modo per mangiare carne. Per un popolo poverissimo che vende gli animali allevati per ricavare qualche rupia, la festa in questione è l'unico giorno dell'anno in cui avranno un menù non da vegetariani coatti. Natale e Pasqua in una botta sola.
Oggi è stata dura: vedevo i figli dei macellai sguazzare a piedi nudi nelle strisciate di sangue, intorno a file infinite di fedeli che aspettavano il turno di venerazione con il loro animale e la ciotola delle offerte. Si narra che dopo la morte, se non abbiamo compiuto una buona vita, ci si dovrà reincarnare 8 milioni e 500 mila volte in altre forme prima di tornare umani e avere una seconda possibilità. Il sacrificio animale è visto anche come un modo per velocizzare il tutto.
L'induismo, pur se primitivo per alcuni aspetti, è affascinante. E i gong continui sono estatici.
Questa è la mia ultima impressione di settembre 2014: siamo un continuo divenire.


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Una donna rende lo zaino e il portafoglio dimenticato da un turista.
Sento dire "Certo che sono onesti, per essere così sporchi."
"È più sporco il denaro", commento.
E riprendo a camminare, per le strade di una cittadina ricostruita dopo il terremoto del '34, a pochi chilometri dal confine col Tibet. Continuare a camminare, sorridere ai bambini, sorridere a me stesso, amare il Nepal, amare te, amare me. E dopo, superata la risaia, riprendere il cammino. Con un nuovo dettaglio da aggiungere al Mandala della vita.


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Come ogni viaggio esige, questa volta seduto su un furgoncino Wolksvagen anni 70 ascolto The times are a-changin' attraversando un villaggio davvero bellino. Il caso vuole che sia capitato durante la raccolta del riso. Sono seduto e osservo, con l'armonica di Dylan a scandire il ritmo della giornata. È una bella sensazione.


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Bhaktapur. Vista dalla terrazza, noto che il cielo è un'esclusiva per falchi e aquiloni da battaglia.
Vedo l'ombra di un rapace volteggiare tre volte sopra di me, sopra la quiete della città. Immagino sia la mia Lady Hawke. Non alzo lo sguardo per controllare.

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Il Nepal è uno specchio frantumato e in ogni riflesso c'è un io differente.
Masticare il Nepal: concepire la violenza estraniando l'atto in sé dell'uccidere. Non è sadismo ma un gesto di ineluttabile sopravivenza collettiva. Compreso questo, il ci-ciak delle suole quando calpestano il sangue rappreso non è che uno dei mille suoni che accompagnano gli eventi.

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Luca, devi focalizzare.
Focalizza, liuk.



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L'obiettivo di oggi è la Pagoda per la pace nel mondo. Per raggiungerla sto attraversando una foresta tropicale, piena di zanzare libellule giganti farfalle blu scimmie...
Fa caldo, quel caldo che sudi solo nel pensarlo. Eppure. Chissenefrega. C'è questo panorama che, insomma..., si domina la valle di Kathmandu, e dire "Kathmandu" continua a riempirmi la bocca di sogni. Sono fermo al bar fissando l'Universo, qua a Pokhara è un via vai continuo di farfalle!
Leggo che il luogo è stato scoperto dagli hippie durante gli anni 70, c'è un senso di pace che nessuna umidità può distorcere.



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Sua Maestà, Everest.
L'Annapurna, la Dea dell'Abbondanza, mi è apparsa un giorno alle 5 della mattina, così, come le cose belle, senza chiedere permesso.
L'Everest è pazzesco, si erge dietro un'altra vetta come un discolo in punta di piedi che nella foto di fine anno si piazza in ultima fila, non tanto per vergogna quando per poter fare le corna a quello davanti.
Vedere tutta la catena distesa al di sopra delle nuvole non mi ha annullato come credevo, piuttosto ho provato un qualcosa simile a gratitudine.
E poi, l'alba: se esistono momenti che nonostante il perpetuarsi ancora non si riesce a descrivere con esattezza, lei è tra questi. Ogni volta si manifesta con dettagli differenti, è Angelina Jolie che ti si presenta firmata Armani, nuda o Desigual a seconda di variabili sconosciute.
L'Everest che trapassa le nuvole e senza movimenti percettibili saluta con l'ostentazione del pavone mi ha riempito gli occhi. Era lì, a un passo dai cumulonembi e a pochi metri da me. Per un po', giusto il tempo di preparare la macchina fotografica, ho pensato che il rapporto che si stava instaurando tra l'Everest e me era pressoché identico a quello tra me e l'amore: entrambi, per motivi differenti, siamo orizzonte.

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Cosa mi ha insegnato il Nepal; le statistiche dicono che è la settima nazione più povera del pianeta. Kathmandu la seconda al mondo più inquinata. Potrei sciolinare notizie ricavate dai siti italiani (eggià, il belpaese dei sessanta&rotti milioni di abitanti che si credono superiori e al sicuro dai cattivi mistificati al tg...), la domanda che mi porterò al rientro sarà sempre la stessa:
può essere considerata inferiore, rispetto alla tua – sì, alla tua, di te che ora leggi – una nazione popolata da individui – non importa se donne uomini vecchi bambini – che vedendoti provano la naturale Gioia Empatia Cordialità nel pronunciare a mani giunte – con la bocca e con gli occhi – Namasté? Io, io credo di no. Davvero. Non a caso Buddha è nato in Nepal. Non a caso la nazionale nepalese di calcio è la più scarsa del mondo. Ma questa è un'altra storia...

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Una sola solitudine
Tra irrealtà bucoliche.


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La situazione che credevo di dover risolvere, anche grazie al viaggio, era l'eliminazione – o perlomeno un abbassamento – delle aspettative da parte degli altri, soprattutto quando compio gesti a me inusuali. Il Nepal mi sta insegnando tantissimo. Ho iniziato a capirlo quando ho ceduto il mio desiderio a quella ragazza: è stata a mente fredda una azione che non ha spostato gli equilibri del mondo, eppure nei film qualcosa sarebbe accaduto.
La vita, per fortuna, non è un film.
E il Nepal, con la fierezza dei suoi dei – Shiva, in primis – mi ha aperto con la forza gli occhi, in attesa che mi spunti il tezo (oltre a quello che ho tatuato sulla spalla).
"Agli altri di ciò che fai non frega niente, ma proprio per questo sii buono, giusto, soprattutto – nel bene o nel male – cosciente e consapevole delle tue azioni. Fallo per te, ricorda allo stesso tempo che non sei che sabbia che fluttua nel vento cosmico, l'ennesima entropia di te stesso."


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Non credo che la sporcizia di Kathmandu sia sintetizzabile come semplice pattume, che non sia un qualcosa di casuale, al di là della religione e altre considerazioni razionali. Il propagarsi di virus non è, nel caso di questa città, un qualcosa di fine a se stesso.
Kathmandu non è un ricettacolo di virus,
Kathmandu È un agente scatenante.
È probabile che come buona parte delle cose inoculate invisibilmente durante la nostra vita, al ritorno a casa, quando il maldigola e il raffreddore saranno ricordi lontani, senza preavviso esploderà.
Già mi immagino, sveglio in ritardo con l'ansia di andare al lavoro, bagnarmi la faccia e rialzando il volto leggere KATHMANDU sullo specchio.
Non c'è medico che tenga, quando ti svegli e scopri d'essere ammalato di vita.

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Dall'aereo la mappa afferma che il volo di ritorno è iniziato da 3 ore e 16 minuti. Dallo schermo davanti riguardo – e che effetto maestoso quando si rientra - Into the wild. Ma mi attira di più il finestrino: amo l'immenso quando decide di rivelarsi.
Durante i primi viaggi mi soffermavo a osservare le nuvole, su come l'istinto ti volesse sopra di loro a correre senza scarpe. Ora ho imparato a trapassarle: le coordinate dicono che sto sorvolando l'Iran, ed è bellissimo. Bel-lis-si-mo. Chissà attraversala a piedi, quante cose avrà da insegnarmi. Si notano le catene montuose, le strade che chissà dove vorrebbero accompagnare i viaggiatori.
A volte compare quello che potrebbe essere un agglomerato di case. Vorrei vederle, sì.
Il Nepal ha spazzolato via la pelle morta che mi portavo appresso coi pregiudizi.
Riguardo quella strada tortuosa dal finestrino; è la strada dentro ognuno di noi, ne intravedo le biforcazioni continue e i punti ciechi e le buche e il brillio dorato dietro la montagna dove pare la strada finisca.
Ma poi, chissà. Da quassù non si capisce bene se il dorato è dopo, all'arrivo, o è la strada stessa.
Il pianeta che calpestiamo contiene diversi livelli di percezione (il Nepal è strada ma pure cultura, sorrisi, sangue, odori...) ed è fantastico rendermi conto che sono cosciente di sporcarmi di vita. Puoi, posso, arrivare ovunque, quando il viaggio parte dal cuore.
Si diviene immensi, proprio come le distese offerte dal finestrino dell'aereo.
...
Spero che un giorno leggerai anche questi pensieri, Persona-che-incontrerò, magari ti piaceranno.
Nel frattempo divertiti, amore mio. Io ora torno a casa, ho una gatta che mi aspetta.
Namasté.

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