06. IL GIOCO DEGLI STRATI.
Esiste
una stortura, un punto nero che aleggia sul nostro esistere.
Non
possiamo che percepirne l'essenza, la lieve contrazione del petto di quando
vediamo i petali scivolare incontro alla primavera o le foglie ingiallirsi.
Alcuni
la chiamano Dio, alcuni dicono pure di averla vista, di averci parlato, che è
un corvo, che se ne sta lì fermo sul ramo a osservare ognuno di noi, proprio
te, proprio ora.
Esiste
una stortura, un punto nero che aleggia sulla nostra esistenza.
Capita
di invocarne il nome ma lei è sorda ai richiami, non bada alle nostre
preghiere.
Viviamo
avvertendo di tanto in tanto il brivido provocato dal suo sbattere d'ali, lieve
e indefinito come il crepitio del ghiaccio che annuncia la fine dell'inverno.
È
l'essenza dell'amore, dicono.
È
ciò che non possiamo agguantare, trattenere.
È
la vita.
O
è un qualcosa che proprio non riusciamo a comprendere, il petalo di ciliegio
che al primo refolo vola dalle nostre mani incontro all'orizzonte, alla ricerca
di un nuovo cielo.
Esiste
una stortura – un corvo? - mimetizzata tra i litigi e le pieghe della tua vita
che come me, semplicemente, ti ama.
«E
non trovi neppure una scusa migliore?, non ti sforzi?»
«Io…
ma cosa vorresti?»
«Papà
posso andare laggiù?»
«Trovi
il tempo per scovare le sale più sperdute ma non per una scusa valida?»
«Non
ho nulla da dire…»
«Mamma,
posso…?»
«Sei
giorni! Su sette! Sei giorni! E cosa pretendi? Un applauso? Non ho neppure
idea, da quanto va avanti questa storia? Chi sei? Chi ho sposato, chi?»
«È
solo una distrazione…»
«Se
non lo fossi venuta a sapere… tu e il tuo stupido pachinko, ma almeno ti rendi
conto? Tuo figlio è prossimo alla scuola, e tu che fai? Spendi i soldi in quei
locali?»
«Mamma?,
papà?»
«Basterebbe
vincere una volta e…»
«Niente
e! Ma ti senti?»
“Maledette
telecamere di sicurezza” pensa Soichiro mentre con le dita accartoccia uno
scontrino trovato nella tasca di dietro del pantalone.
Alla
quarta richiesta di attenzione senza risposta, il piccolo Keisuke – cinque
anni, caschetto castano scuro e uno spazio tra gli incisivi “grande abbastanza
per nasconderci il Kami della Fortuna” – si dirige a saltelli accennati verso
l'altalena principale, accanto all’area pic nic.
Nonostante
più e più volte nonni e zii lo avessero portato al parco principale di Tokyo,
soltanto tra la folla del Shinjuko Gyoen si sente libero di dare sfogo alle sue
energie più disparate: quel luogo è per lui sì frequentato ma non abbastanza da
impedirgli una capriola, se solo avesse voluto sfidare le occhiate di
rimprovero dei genitori.
In
quel momento a Keisuke il luogo appare come il più desiderabile del pianeta;
attorno i ciliegi
in fiore ammantano di rosa lui l'orizzonte e il cammino come disordinate scie
di Hello Kitty e a ogni sferzata del vento si leva un coro di ammirazione per i
petali in caduta libera.
Senza
rendersene conto si intrufola tra i turisti che osservano le evoluzioni dei
giocolieri e prima ancora di applaudire inizia con quello che lui definisce il
gioco degli strati, una sfida nella quale formula in silenzio una domanda
dopodiché isola parole a casaccio tra quelle della folla cercando di ottenere
una risposta verosimile, un consiglio.
Un
modo per svuotare la mente riempiendola di un roboante silenzio setacciandone
il fondo alla ricerca di frasi appiccicate. Si sentiva meglio, dopo. Più
leggero.
Spesso
alla conclusione di una acrobazia impossibile Keisuke strattona la manica del
genitore più vicino, con l'urgenza di chi vorrebbe diventare l'uomo che incanta
la folla; di ritorno però non riceve mai neppure un incitamento nascosto tra le
rughe dei rimproveri. Indifferenza, perlopiù. Nessuno che gli spiegasse perché
quella gente può saltellare a piacimento e a lui invece non è neppure permesso
spostare le scarpe al di fuori del mezzo tsubo che delimita i bordi della
strada principale.
Solo
un concetto gli appare via via più chiaro, alla fine di ogni spettacolo:
mantenere la rigidità del padre o imitare i movimenti degli artisti di strada
non avrebbe modificato la sua inadeguatezza verso il mondo circostante, le cose
accadono e se ne fregano del suo volere, ciò che vorrebbe cambiare – dal colore
in camera allo zainetto logoro di Yu-Gi-Oh – lo farà anche senza il suo
intervento.
Il
pensiero, una bozza di malinconia che ancora non comprende e che lo
accompagnerà durante la vita come un velo, gli procura un sorriso sbilenco.
Ha
il sentore che ci sia un qualcosa di sbagliato in ciò che vede; un po' come se,
come se scoprisse suo padre mangiare sushi con le mani o sua madre urlare
all'iPhone durante gli spostamenti in metropolitana. Tutto quell'ordine, quei
capelli impomatati, quei sorrisi composti lo portano a saltellare se possibile
ancor più sgraziato zigzagando tra la folla, coi genitori oramai due punti
lontani.
Raggiunta
quella che a Keisuke sembra una distanza di sicurezza, si volta per osservare
il litigio dei genitori e da lì il mulinar di braccia e accuse li fa apparire
come quei due architetti che vide litigare fuori da casa sua.
«Per
la scelta del campanello», disse poi sua madre scuotendo la testa.
Gli
adulti che litigano sono ridicoli, quelli che saltellano no.
Con
una nuova verità sulle labbra, Keisuke si accorge che l'altalena è già occupata
da due bambini; a lato, gli occhi delle famiglie seguono attenti il dondolio
mentre le bocche discorrono sulla primavera, l'incuria dei turisti e ciò che
manca alla nuova generazione per far rifiorire il Grande Giappone proprio come
i ciliegi.
Keisuke
vorrebbe aspettare sua madre seduto sui gradini ma nell’attesa gli adulti
accanto gli avrebbero rivolto troppe domande, così si incammina verso il
percorso fiorito alla ricerca di uno spiazzo libero, continuando ad accumulare
passi a testa bassa, fino a quando un incessante cracracra ovattato -
...possibile? - lo induce a rallentare il passo.
Da
dove proviene?
Per
un momento pensa di aver camminato tanto da essersi addentrato in un bosco
magico, magari è la voce degli alberi, poi però la vista di altri adulti
nei paraggi gli stronca la fantasia sul nascere.
Con
lo sguardo all'insù cerca di localizzare il gracchio ma gli occhi non
registrano che pallidi petali di ciliegio.
Eppure,
sono sicuro che...
Keisuke
alza le braccia e con le dita sferza l'aria nel tentativo di bloccare qualche
petalo al volo, solo per il gusto di sentirsi grande abbastanza da deviare la
traiettoria di un qualcosa; e rimane così, a mani aperte e in cerca di altri
colori, fin quando un colpo di vento gli mostra i contorni di una coda piumata
nascosta dall’intreccio dei rami. È un corvo, non ha dubbi. Si stropiccia le
palpebre e una volta rimessa a fuoco la zona nota il contorno del becco e le
zampe ben salde al ramo.
Un
corvo tra i ciliegi, nero su rosa, e io non l'ho visto?!?
Infastidito
dall'essere spiato prende un sasso pronto a scagliarlo addosso al volatile ma a
metà rotazione del polso incontra ancora lo sguardo impassibile del corvo e
lascia ricadere la pietra a terra; schiocca più volte la bocca per ricrearsi la
saliva scomparsa per lo stupore, vorrebbe urlare per distogliere l'animale
dalla contemplazione ma si ritrova invece con l’offrirgli i petali raccolti in
precedenza.
Rosso
d'imbarazzo per il gesto avventato controlla non ci sia nessuno nei paraggi: le
mani sudaticce suggeriscono di rifugiarsi al più presto tra i litigi dei
genitori eppure quella stessa tensione dipinge sul volto un sorriso del tutto
simile a quello del mese scorso, quando dopo un anno intero di suppliche sua
nonna Marika lo aveva riaccolto nella sua casa a pochi passi dal parco
Shiretoko.
Un
sorriso, sì. A volte – spesso, ma questo Keisuke ancora non lo sa – un sorriso
sincero apre più porte di qualsiasi passepartout.
Così,
senza smettere di fissare la fessura tra gli incisivi del bambino, il corvo
dispiega le ali e scende di ramo in ramo fermandosi solo nel momento in cui
Keisuke con un balzo tenta di acchiapparlo.
«Perché
non scappi?»
«...»
«Non
avevi paura della pietra?»
«...»
Il
corvo si guarda intorno e Keisuke strofina i petali sui polpastrelli prima di
mangiucchiare le unghie nell'attesa di una risposta. Gli piacciono, i corvi. La
gente tende a evitarne il contatto eppure ogni volta che con gli amici batte i
piedi più forte per spaventarli loro non fingono neppure di cambiare direzione.
E poi hanno il colore della notte e Keisuke inizia a capire che le azioni senza
sole non sono mai insignificanti.
«Come
mai te ne stavi nascosto?»
«Nascosto?»
«E
cosa fai?»
«Osservo.
Chi resta immobile non esiste.»
«Se
ti vedo, esisti.»
«Vedi
ciò che vuoi.»
«Cosa
dici?»
«Prima
hai preso tre petali al volo, ricordi? Li hai visti perfettamente no? Mentre li
guardavi da questo ciliegio ne sono caduti altri ottantasette, te ne sei
accorto?»
«No.»
«...»
«Ma
come lo sai?»
Keisuke
fissa il terreno e per mezzo minuto conta i petali caduti, sicuro che il corvo
stia raccontando bugie.
«Sono
tanti, davvero.»
«…»
«Io,
non capisco. Tu sei tutto nero ed è primavera, come mai nessuno ti vede?»
«Se
non avessi gracchiato mi avresti visto?»
Il
bambino si gratta la testa, in attesa di una risposta che non arriva.
«Non
ti stupisce sentirmi parlare?»
Keisuke
mentre guarda la pelle morta del cranio incastrata sotto l'unghia dell'anulare risponde
che «No, in televisione parlate sempre tutti.»
«Ma
i cartoni animati non sono…»
«Tu
mi stai parlando, no?»
Il
corvo, fingendosi distratto, gracchia a un paio di passerotti che nel frattempo
si sono avvicinati all'albero.
«E
cosa fai tutto il tempo lassù?»
«Io
sono il tempo. Osservo. Aspetto.»
«Cosa?»
«Quello
che deve accadere.»
«Non
ti capisco, sei buffo.»
«Buffo?»
«...sì.»
Keisuke
inizia a correre attorno all'albero fino a quando avverte le prime fitte alla
milza e poi ancora un po', in quella sorta di esercizio inventato per – dice
lui – migliorare la resistenza. Il suo sogno è segnare il goal vittoria durante
la finale del Mondiale, ma come potrà mai partecipare se alla fine di ogni
scatto le tempie pulsano impazzite e i polpacci irrigidiscono? Sotto con gli
allenamenti improvvisati, dunque.
Il
corvo, incuriosito dall'interpretazione sgraziata di quella che potrebbe essere
una qualche danza indiana, zampetta fino all'estremità del ramo senza smettere
di seguire i movimenti del caschetto.
«Perché..
non.. voli.. via?»
«Ma
io sono volato via, eppure mi trovo ovunque.»
«Ah..
ah... che... dici.»
«I
tuoi genitori, capita di essere sgridato no?»
«Sì.
Ieri non ho pulito la scrivania, allora papà...»
«Ecco.
E quando se ne va dopo averti sgridato, non ti sembra che sia ancora lì?»
«...sì.»
«Appunto.»
«Ma
tu ci sei! Ti vedo!»
«...»
«Non
ti capisco.»
«Questo
è un bene. Chi ci prova impazzisce dal dolore.»
«Dolore?»
«Sì.»
«Come
quando cadi dalla bicicletta e le ginocchia fanno le croste?», domanda
mostrandone fiero un paio in via di guarigione.
«Sì.»
«A
me piace alzarle ma mia mamma mi sgrida sempre.» Unendo pollice e indice a mo'
di bisturi, Keisuke inizia a staccarne una soffiando forte sulla pelle
arrossata. «Dice che non si deve fare, che poi la pelle ricresce male. Però è
divertente!»
A
testa bassa, il bambino non si accorge che il corvo ha nel frattempo scrollato
le ali per abbandonare il ciliegio e ora è proprio a mezzo metro da lui: chissà
da quanto tempo era lì! Entrambi si scambiano un'occhiata di complicità prima
di notare il grumo di sangue che si espande dalla crosta verso la caviglia.
«Ahi!»
«Che
succede?»
«Sanguino,
fa male.»
«Il
sangue significa esperienza.»
«Esperienza?»
«Sì.»
«Ma
fa male.»
«Non
il sangue, l'azione.»
«Ma
se sanguini tanto hai tanta esperienza? Passi di livello come nei videogiochi?»
Preme la pelle attorno al ginocchio per formare una goccia di rosso rubino.
«Se
non esageri, sì. Se vuoi creare devi sanguinare.»
«E
se esagero che succede? Faccio indigestione? Perché a me piace la cioccolata
sai? Ieri sera per esempio...»
«Esatto,
non devi esagerare.»
«Ma
io so il trucco!»
«Trucco?»
«Se
muovi la crosta così, il sangue non esce.»
Keisuke
inizia ad arrotolare la parte già staccata con brevi strappi fino a ridurne la
base, poi aggrotta la fronte e lascia scivolare dalla sua bocca una
perplessità.
«Ma
allora non faccio esperienza? Resterò scemo?!?»
«Fare,
non fare... c'è tanta differenza?»
«Sei
strano...»
Il
corvo nota delle briciole accanto ai piedi del bambino e si avvicina a spostare
i petali accanto col becco, sfiorando in un paio di occasioni i legacci delle
scarpe. Keisuke lo lascia fare senza muoversi, percepisce una sorta di scossa
elettrica lungo il corpo e si domanda se quel corvo è reale o se quella che
sente è la voce del parco: magari ha finalmente vinto il gioco degli strati e
il parco lo sta ringraziando. Sorride.
«Non
ti annoia vivere tra i petali? E quando sfioriscono? Dove vai? Dov'è la tua mamma?»
Inginocchiato,
con le mani raccoglie le briciole rimaste offrendole al suo nuovo amichetto.
«Sarebbe
bello giocare per sempre. Posso, vero? Posso non diventare grande e serio come
il mio papà? Lui, lui non ride mai. Io voglio ridere. Come si fa?»
Impegnato
a spezzettare le briciole, il corvo pensa che sì, a quel bambino il segreto
della felicità lo potrebbe anche svelare.
«Ascoltami.
È semplice, se ci pensi... Basta un'azione per essere felici:
»
«Keisuke!
Keisuke!»
I
genitori lo richiamano con urla e gesti, incuranti delle occhiate della gente
attorno e del gruppo di turisti che si volta famelico già con le macchine
fotografiche pronte a cogliere chissà quale evento.
Ammaestrato
all'ubbidienza, Keisuke si blocca; sfrega rapido le mani per togliere i residui
di fango prima di alzarle entrambe a far intendere che li ha sentiti.
Rigirandosi
per salutare il corvo un'ultima volta non lo vede più; controlla l’esistenza di
una massa nera tra i rami ma non nota che diverse tonalità di rosa, così si
limita a raccogliere un paio di petali prima di tornare saltellando verso i
genitori, attento a controllare ogni tre passi se nella punta della lingua
fosse rimasta attaccata quell'ultima domanda che già non ricorda più.
Durante
il tragitto, i ciliegi proseguono con la semina formando un tappeto rosa per
rendere ancor più lievi i passi coi quali Keisuke affronterà la vita.
Ovunque
e da chissà dove, un corvo sfrega il becco in quello che potrebbe apparire un
sorriso, lasciando che il vento disperda l’eco della risposta.