Se suonare è
scopare, scrivere è fare a botte.
E per fare a
botte con ChiLegge è importante lo stile (nei movimenti/frasi) la potenza (la parola precisa
è un gancio, la frase fatta un accenno di spostamento d’aria) la velocità/il
risparmio di energia (perché sprecare venti parole quando ne bastano cinque?)
Infine c’è la bellezza, che nello scrivere/fare a botte è secondo me un lusso, un di più, la ciliegina non edibile sulla torta panna e cioccolato. Serve, ma insomma. Troppe frasi consecutive che racchiudono bellezza o pensieri “corretti” mi ricordano quando da piccino picciò per recuperare il pallone son caduto tra le ortiche. Preferisco un jab scoordinato allo schiaffo esteticamente perfetto, trovo sia più sincero.
Infine c’è la bellezza, che nello scrivere/fare a botte è secondo me un lusso, un di più, la ciliegina non edibile sulla torta panna e cioccolato. Serve, ma insomma. Troppe frasi consecutive che racchiudono bellezza o pensieri “corretti” mi ricordano quando da piccino picciò per recuperare il pallone son caduto tra le ortiche. Preferisco un jab scoordinato allo schiaffo esteticamente perfetto, trovo sia più sincero.
Insomma, durante
l’ultimo anno trascorso alla bottegadinarrazione mi son ritrovato più volte a
pensare “Ma liuk!, caspita!, perché ce l’hai tanto con la bellezza?, non
sarebbe meglio farla tua e riempire di parole tutto quel vuoto che
ti porti appresso?”
Così, tra una lezione e l’altra di Giulio Mozzi ho iniziato a ruminare, a interrogarmi sul perché di tant’acredine nei confronti della bellezza e su cosa considero – nella scrittura – un lusso, un elemento superfluo. Come spesso mi accade, rileggere Super nivem (IlMaleNaturale) ha dissipato non poco i dubbi in merito ("...se compiere il male è la mia natura è bene che io compia il male, e specularmente è male che io cerchi di compiere il bene, tanto più che tutto il bene che io cerco di compiere si trasforma alla velocità della luce in male, è già diventato male prima ancora che io lo compia.")
Così, tra una lezione e l’altra di Giulio Mozzi ho iniziato a ruminare, a interrogarmi sul perché di tant’acredine nei confronti della bellezza e su cosa considero – nella scrittura – un lusso, un elemento superfluo. Come spesso mi accade, rileggere Super nivem (IlMaleNaturale) ha dissipato non poco i dubbi in merito ("...se compiere il male è la mia natura è bene che io compia il male, e specularmente è male che io cerchi di compiere il bene, tanto più che tutto il bene che io cerco di compiere si trasforma alla velocità della luce in male, è già diventato male prima ancora che io lo compia.")
È tutto lì: se
la bellezza/FraseAcchiappaLike non fa per me, inseguirla è sprecare energie.
Dicevo: per terminare la prima stesura del romanzo (giusto in tempo per la presentazione di gennaio) ho fagocitato tutta una serie di lezioni e consigli di sponda (Giulio direbbe: suggestioni) su alcuni modi per dare forma valore e senso agli argomenti trattati. Ho dovuto affrontarne di scomodi. Insomma: ho un problema con la gestione della bellezza. Non la mia, eh. Delle frasi. È che scrivendo voglio spostare al lettore il punto di vista delle cose e, per quanto mi riguarda, la bellezza in questo caso c’azzecca molto poco. Trovo invece che lo scrittore abbia necessità di venire alle mani coi lussi.
Alle mani, sì.
In fondo scrivere un romanzo è spesso un atto di violenza. Le parole stampate,
ciò che dovrebbe unire empaticamente ChiScrive con ChiLegge, sono una sorta di muro.
Certo, “No non è così liuk perché quando leggo immagino tutto un mondo
fantastico e di conseguenza mi avvicina all’autrice/autore e da lì poi eccetera
eccetera”, però scrivere è potenza, è trasfigurare. Se scrivo frasi a casaccio
tipo “Questa frase è di resina” “Questa frase ha rigato la lavagna con le
unghie” “Questa frase è nata il 29 febbraio” “Questa frase sta per sputarti in
un occhio”, ogni volta è ChiScrive a riempire l’immaginario passivo di ChiLegge. Che poi reinterpreta e tutto quanto, ma l'input arriva da lì. Ed è fantastico e fastidioso insieme, per chi sta dall’altra parte del
libro. Ma soprattutto: ChiScrive dovrebbe quantomeno assumersi la
responsabilità delle parole utilizzate, non c’è bisogno d’essere Peter Parker
per capire che da un grande potere deriva una grande responsabilità, o giù di
lì.
Ocio alle
parole, dunque.
E a non credersi
troppo yeahsupermegastrawow in quanto autori di frasi, che il rischio di
autocompiacersi (darsi i pugni da solo) e/o scoprirsi dipendenti dagli applausi è sempre in agguato.
O per dirlo con
una frase bella: L’inaspettato affila le armi nel punto cieco dei sorrisi.
Questo non vuol
dire che ne butto giù di studiate per non compiacere ChiLegge (questo sì
sarebbe stupido), dico solo che spostare l’occhio di bue su particolari o
territori inesplorati alla lunga ravviva la vitalità di entrambi i soggetti. Se ChiScrive è "sincero", ChiLegge lo percepisce. Son dell'idea che le frasi di un romanzo o racconto o quel che è, se non trasmettono a ChiLegge un fremito, un "No, non sto semplicemente leggendo, sto danzando sotto le bombe!", son da eliminare. Pussa via, sciò!, frase sterile non sei benvenuta!
È catartico cancellare, fa molto "Un giorno credi di esser giusto / e di essere un grande uomo / in un altro ti svegli e devi / cominciare da zero."
Poi sì ok capita di terminare un capitolo, sentirsi dire "carino questo passaggio” e non eliminare nulla lo stesso. Esempio: nel romanzo attuale (in fase di editing) un personaggio vorrebbe urlare, ma a causa degli effetti dell’acido lisergico non riesce a muovere le labbra. Per “spiegarlo” m’è uscito un termine ai limiti della paraculaggine, me ne rendo conto, però rimane lì dov’è per motivi vari.
È catartico cancellare, fa molto "Un giorno credi di esser giusto / e di essere un grande uomo / in un altro ti svegli e devi / cominciare da zero."
Poi sì ok capita di terminare un capitolo, sentirsi dire "carino questo passaggio” e non eliminare nulla lo stesso. Esempio: nel romanzo attuale (in fase di editing) un personaggio vorrebbe urlare, ma a causa degli effetti dell’acido lisergico non riesce a muovere le labbra. Per “spiegarlo” m’è uscito un termine ai limiti della paraculaggine, me ne rendo conto, però rimane lì dov’è per motivi vari.
Il dodo
riconosce la voce di Richard, ancora lui; le gambe trrremano, prova a
s.o.s.pirare per non cedere alla provocazione ma capisce che il morbo del
terrore s’è già insinuato all’interno del corpo: la bocca è cucita.
xxCUxxCIxxTAxx.
Quindi boh, se non urti ChiLegge perdi l’occasione di venire in contatto, di
aprire una crepa in quel maledetto muro.
Voglio dire: quando
leggi frasi che ti portano a dire“Anche io la penso esattamente
così”, non percepisci una sorta di raggiro? Al contrario, scoprire le motivazioni
di pensieri distanti o sfumature fino a prima inesplorate: quant’è godurioso?
Lì sì che le parole bucherellano il muro, tanto da lasciarci passare le mani
per toccare chi sta dall’altra parte.
Compiacere il
lettore per un tornaconto è pericoloso; un po’ come le corse oltre il precipizio di Wile E. Coyote, che quando ha
consapevolezza di camminare nel vuoto l’illusione sfuma e precipitaaaahh.
E forse nell'era del tweet non regge neppure più il: “Scrivo perché ho qualcosa da
dire”. Non senza uno studio/scopo dietro, perlomeno. Che tu abbia qualcosa da
dire mi pare il minimo, caspita!, mica è un vanto. Dice la canzone de I Ministri: "Volevi essere pagato perché avevi qualcosa da dire / ora che ce l'hanno tutti puoi star zitto per favore?") Il rischio di produrre cose mirate a farsi
piacere è altissimo: senza motivazioni più “forti” si rischia di buttar
giù qualche frase e se non si ricevono abbastanza MiPiace ci si sgonfia, tipo
quelle storie d’amore patetiche che per Tom Robbins sono latrati alla luna.
E dato che scrivere è fare a botte col destinatario, ChiScrive ha
quantomeno l’obbligo morale di non sollazzarsi troppo tempo nei lussi, che
st’infami se ne stanno all’erta e una volta in circolo poi a toglierseli di
dosso è un casino.
Sotto con le limitazioni per restare in tensione,
dunque:
Non posso/voglio concedermi il lusso di usare frasi fatte,
di scordare il perché di alcune cicatrici,
di essere felice per troppo tempo,
di dirmi “Ok, buona la prima” (Suvvia liuk, stai
scrivendo un romanzo non stai registrando un onetwothreefour punk),
di fingere che scrittura e musica siano distinte (ci sarà
un motivo se alcuni scritti toccano le corde dell’animo, no?),
di essere sempre coerente, che senza errore non si
evolve (sospetto che la Musa sia una puttana e che tutti quei paletti/limitazioni
coi quali convivo siano facilmente spostabili, all’occorrenza.
O forse la Musa è casta&pura, la colpa è di quando scivolo in periodi
di sordità ai buoni consigli, tipo Don Camillo che parla al crocefisso senza
ricevere risposta.)
E dunque: buon fight club letterario a tutti.
"È che scrivendo voglio spostare al lettore il punto di vista delle cose". Ecco, questo è quanto. Ossia: la tua grande dote.
RispondiEliminaMonica, ti ringrazio! Beh ci sto provando (a spostare il punto di vista), ora l'obiettivo è -nonsocome- raggiungere un pubblico e vedere che accade ^^
EliminaNel frattempo, cosa fondamentale, vado a mangiare una pizza che è tardi :)
Cavoli! È strepitoso questo articolo. Mi piace un sacco! Bravo Luca. Mi sono copiata la prima frase bella... ma poi ne avrei copiate altre e alla fine mi è piaciuto tutto. La frase comunque - visto che è memorizzata - era questa: "L’inaspettato affila le armi nel punto cieco dei sorrisi."
RispondiEliminaManu, ricordo i cazziatoni (per colpa mia) che mi facevi a inizio bottega, leggere ora "è strepitoso questo articolo" mi mette proprio di buon umore, grazie! :-)
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